La signora della porta accanto

In La signora della porta accanto - allegoria del Sudafrica post apartheid la scrittrice architetto e design Yewande Omotoso, che ne è  l’autrice si interroga sulla grande violenza della segregazione razziale a partire dalla piccola violenza, quella domestica, quella cui ci si abitua dalla nascita e nessuno mette più in discussione, quella, anche, che le persone si autoinfliggono e su come questa trasformi gli uomini. La parte più penetrante dell’analisi di Omotoso è nella descrizione degli effetti più che nella ricerca delle cause, e la forza della sua scrittura è nell’ironia e nella lucidità spietata di certe battute, l’aspetto che indaga con maggiore originalità non è tanto il razzismo quanto la (fallita) emancipazione femminile. 
Nel momento più toccante del racconto le due duellanti, in un buio corridoio, confessano vicendevolmente l’inaspettata eredità dei loro defunti mariti scoprendosi infine unite da un’ingiustizia più universale, che non ha confini geografici né cromatici: quella contro le donne. Vittime di una cultura, di un modo di pensare la donna, l’amore e la famiglia che - nonostante la loro grinta - le ha intrappolate in una vita che hanno subito e le ha costrette a sopportare gli affronti peggiori, quelli di cui per troppi anni non si è consapevoli.

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